lunedì 30 settembre 2013

LA MENTE è UN APPARTAMENTO

Mi sono sempre raffigurata la mia mente come un appartamento. Con tutte le sue stanze, ognuna con il suo bravo compito.

La Cucina dell'Amicizia, la Sala da Pranzo della Famiglia, la Camera da Letto dell'Ammore, la Biblioteca della Carriera, il Soggiorno Tutto Per Me, il Salotto delle Conoscenze, il Bagno del Carattere, la Stanza degli Hobby.
Come dev'essere una casa. Rosa, prima di tutto.

Me la sono arredata. Con cura. Scegliendo i mobili che potevo scegliere e cercando di abbinare al meglio quelli che trovavo già lì.
Di solito ci sto come un pascià, nella mia mente ammobiliata.

Certo, ci sono i momenti in cui preferisco una stanza ad un'altra. Se mi sembra che la Biblioteca della Carriera non offra nessun nuovo libro da leggere vado a fare due chiacchiere nella Cucina dell'Amicizia. O mi spaparanzo beatamente sul divano del Soggiorno Tutto Per Me. Cambiamenti temporanei. Piccoli adattamenti.

Ci sono anche posti dove non vado volentieri. Lo Sgabuzzino delle Insicurezze, la Lavanderia della Coscienza Sporca, l'Angolo Buio dei Sogni Infranti, il Garage dei Desideri Irrealizzabili, la Soffitta dei Sensi di Colpa. Per carità, sono conscia della loro esistenza. Semplicemente, dato che mi sono fatta tutto 'sto sbatty per rendere la mia mente un posto soleggiato, arioso e gradevole, non vedo perchè dovrei andare a rovistare in posti umidi e bui. So che ci sono? Sì. Stanno bene dove stanno? Sì. Prima o poi vi metterò in ordine, ma non ora. Mi limito ad ammassare disordinatamente tutta la negatività e a buttarla nell'antro buio di turno. Oh, là. * chiude la porta, si spolvera le mani e se ne va soddisfatta *

Anche perchè, come ogni casa che si rispetti, la mia mente dev'essere pronta per accogliere ospiti. C'è gente che ci vive in pianta stabile (non avete un'idea del bordello che combina mio padre nella Sala da Pranzo della Famiglia, o dello stato di subbuglio in cui versa la Cucina dell'Amicizia da quando ho scoperto che la mia migliore amica si sposa. Aggiornamento: si è sposata, e vivono Felici e Contenti comeègiustochesia.)
Ci sono persone di passaggio, per periodi più o meno lunghi. Com'è ovvio, non a tutti mostro tutta la casa. Sì, prendete pure un aperitivo nel Salotto delle Conoscenze, ma poi tornatevene a casa vostra e non rompetemi le balle. Anzi, ripensandoci, tu mi sei simpatica, ti va di vedere la mia Cucina?

Come dicevo, è un posto bello in cui vivere, per la maggior parte del tempo.

Ma.

C'è sempre un ma, non ve l'hanno mai detto?

Il ma è il momento in cui devo puntellare il soffitto, perchè la Soffitta dei Sensi di Colpa ha raggiunto la capienza massima. E dato che le sfighe vanno sempre in coppia, o a tre, o a mazzi di dodici, lo Sgabuzzino delle Insicurezze è pieno da scoppiare. Rischia di esplodere.

Che non vi salti in mente di rifugiarvi nella Camera da Letto dell'Ammore convinti che i problemi spariranno se ve ne state rintanati lì. Beh, ovviamente io sono bravissima a dare consigli dopo aver personalmente combinato cazzate. Quindi fate anche un po' quel che vi pare e non ascoltatemi, che vivete bene uguale.
Come puoi pensare che un altro essere umano si accolli la responsabilità di mettere in ordine il casino che TU hai creato? Certo, c'è gente che lo fa per mestiere. I domestici. O gli psicologi. Ma mica gratis, eh.

E dato che insisto con il fai-da-me, sarà meglio mettersi al lavoro.

Come gli uomini immaginano le pulizie di casa...
É un lavoro improbo. Vi è mai capitato di avere un garage in cui ammassate tutte le cianfrusaglie che vi capitano a tiro (regali orribili di zia antipatica, mobili che non volete più, libri che non vi piacciono e si può continuare all'infinito)?

Ecco, uguale.

Armarsi di tutone informe, raccogliere i capelli in un poco attraente chignon, rigorosamente struccate. Certe fatiche si affrontano al naturale, ci si deve spogliare di tutti gli orpelli. Entrate nude e indifese nella vostra mente. E iniziate a spostare roba. È buio, polveroso. Non è piacevole, ma siete arrivate a un punto in cui rimandare ancora sarebbe devastante. Hai già rimandato il rimandabile Iaia, ora apri quello scatolone, e vedi che c'è dentro.

Il primo pensiero è “Oddio non finirò mai”. Vi sentite Sisifo, lanciato nell'Ade da Zeus e munito enorme pietra rotonda da spingere faticosamente fino alla sommità di una montagna, per poi vederla rotolare giù. E dover ricominciare da capo ogni volta.

...e come sono realmente

Ed è un lavoro che non finisce mai. Ma mai. Ma MAI. Io ci sono ancora in mezzo fino al collo, nel mio casino. Ma inizio a vedere le finestre delle stanze, che da tempo erano sepolte di rottami accumulati. E qua e là, qualche angolo di pavimento lucido.

Dai Iaia, dai che ce la fai.


E quando ce l'hai fatta, BOOM. Improvvisamente è aprile, e ti sembra il primo giorno di sole da una vita. E decidi che puoi liberarti del cappotto, e prendere la bici, e andare al lavoro cantando la tua canzone preferita, e il traffico ti passa vicino e tu neanche te ne accorgi perchè sei FELICE.

E la cosa migliore è che quella felicità te la sei conquistata da sola.

lunedì 23 settembre 2013

ODDIO SONO BIONDA. Dentro e fuori.



Lo sto facendo. Lo sto facendo davvero. Sì, ho detto che l’avrei fatto. Ma tra dire che lo farò e farlo davvero c’è una bella differenza.
Sono seduta dal parrucchiere. Palmi delle mani sudati, piedino irrequieto, occhioni da Bambi che sta andando al macello e lo sa.

Sono qui a farmi BIONDA.

Io, una bruna da una vita. Una i cui capelli non hanno mai subito l’onta dell’acqua ossigenata (sì, vabbè, una piccola tintura all’hennè a quindici anni, ma sono errori di gioventù, suvvia). E invece adesso sono qui davvero.

E neanche mi faccio tutta bionda, no, se dobbiamo fare le cose facciamole bene, esageriamo. Mezza bionda, mezza mora. Punte oro, radici bronzo.
Na pazza, praticamente.

Ma il mio hair stylist (sorprendentemente etero, pensavo non li fabbricassero neanche più, i parrucchieri etero) mi assicura che le mèches californiane sono il dernier cri della moda hollywwodiana.

Blair Waldorf (nella vita vera Leighton Mesteer) con la mia stessa tamarrata tricologica. Se l'ha fatto LEI posso farlo anche io, eh, inutile che mi perculate.


Pastella maleodorante sulla testa, avvolta nel cellophan. Tensione. Ascolta, parrucchiere, non è il caso di toglierla ‘sta fanghiglia ossigenata o giù di lì? Dai, dai, che il tempo di posa è più che passato. Ansia. 

Rimuove la poltiglia sbiondante. Mi lava-asciuga-metteinpiega. Mi presenta compiaciuto uno specchio, aspettandosi complimenti. Beh, a parte che non ho capito chi sia quella tizia con gli strani capelli che mi guarda con aria stralunata, tutto bene.

NO, ASPETTA, CHE COSA?!?!

Quella non sono io. Esperienza extrasensoriale di migrazione dal proprio corpo, panico.

MA: “Non essere tu” era esattamente il motivo per cui sei entrata nell’antro dell’orco, ricordi?

Vi spiego. Psiche femminile e chioma sono inscindibilmente connessi. Il processo mentale è: “Insoddisfazione, qualcosa non va. Devo cambiare (vita/ me stessa/ mondo che mi circonda).” E la prima mossa è sempre, invariabilmente, cercare nel proprio cellulare il numero del coiffeur. Lui sa. Distingue chi è entrata per la solita spuntatina da cinque millimetri e chi invece ha la rivoluzione nella capa.

La prima è tranquilla come un sultano orientale all’ora di cena, la seconda ha il Darfur negli occhi.

Il parrucchiere conosce l’animo femminile. Intuisce che è passato il momento del “Dai, facciamo anche una frangetta”. E’ tempo di soluzioni definitive, di rappresaglia massiccia. E tempo di forbici indemoniate e di colori improbabili. Abbiate paura di una donna che d’improvviso varia acconciatura in modo drastico. E’ una dichiarazione di guerra, sappiatelo.

Ahem, tornando a noi. Reazioni varie ed avariate: amica vegana totalmente refrattaria alla moda che mi chiede “Hai fatto lo Shatzu? Bello!”. Tesoro, a parte che è shatush e non shatzu, che sono dei massaggi, e comunque no, sono mèches californiane.

Amico che si informa circospetto: “Ma è voluto?!?”. Si che è voluto, pirla. Ti sembra che andrei in giro con la zazzera mezza gialla e mezza marrone se non lo volessi? Sarei sotto il letto a nascondermi!

Amica milanese: “Nooo che hai fatto, tu eri il prototipo della mora chic!”. Beh, forse non voglio più essere una mora chic, non ci avevi pensato? Voglio essere una bicolore tamarra.


In ogni caso, non passerete inosservate, e avrete iniziato il percorso che vi poterà a diventare Barbie. Un sogno che si avvera. 

Missione compiuta.

Ah, se vi interessa questa sono io. Una bicolore tamarra, appunto.

MagraUgualeBellaUgualeFelice STICAZZI




Ultimamente mi capita spesso che mi dicano “Come sei magra!” oppure: “Beata te che sei magra!”. Con un misto di invidia e ammirazione.

Perché ti hanno detto che magrezza tre quarti di bellezza, e una donna bella, si sa, è una donna felice?

Deve essere felice, cazzo! 

Se no a cosa servirebbero tutti questi interminabili, ferrei Ramadan iniziati di lunedì (da oggi solo insalata scondita e pollo alla griglia senz’olio. Né sale. Né gusto.) e finiti il martedì alle ore 18.30 perché “il lavoro mi fa ammattire, me lo merito un barattolo intero di Nutella mangiato direttamente con le dita”. Anzi, fai in endovena và, che si fa prima.

A cosa servirebbero gli innumerevoli sensi di colpa da cibo? “Ecco, lo sapevo che non avrei dovuto farmi tentare da quella pizza al triplo pomodoro ripiena di lardo… Ma avevo fame! E comunque, da oggi palestra, così brucio anche tutte le calorie del maialino da latte allo strutto e marmellata di bucce di patate. Senza se e senza ma. Vabbè, da domanipalestra. Ma domani vado! Davvero!”.

Beh, lasciatevelo dire da una magra. Vi hanno ingannate. Non è vero che magra uguale bella ergo felice.

Perché una volta che finalmente sarai diventata magra (che poi, come si fa a capirlo? Spunta dalla bilancia un tizio con cappellino di Capodanno e trombette che ti seppellisce di coriandoli al grido di “Complimenti! Ce l’hai fatta! Sei magra!”?) ci saranno:
- le tette (assenza di, o abbondanza di. Mai contente). Perché ovvio, devi pesare cinquanta chili ma avere il davanzale della Pemela Enderson. Come se cose del genere esistessero in natura;
- la forma del naso. Sono fiera portatrice sana di naso storto. A me piace, il mio naso storto. Non mi hai mai fatto niente di male, perché dovrei prenderlo a martellate per raddrizzarlo? È un po’ una guerra preventiva, e a me George Dabliù Bush mi è sempre stato grandemente sulle balle;
- le gambe che non sono abbastanza lunghe;
- gli zigomi che non sono abbastanza definiti;
- le caviglie che non sono abbastanza sottili.
- la cellulite, vogliamo parlare della cellulite, ‘sta iattura democraticamente universale? Ecco, no, non parliamone che mi viene l’ansia.
Potrei continuare all’infinito, vi prego, fermatemi. Ma ci rendiamo conto? Una avrebbe bisogno un chirurgo à porter. In borsetta. “Oddio, non mi piace l’incavo del mio gomito!” E –zacchete!- bisturi. Gomito perfetto. “I lobi delle mie orecchie sono grassi!” Zac! Manco il tempo di dirlo, liposuzione ai lobi (o si dice lobotomia? Ah no, quella l’hanno fatta a me da piccola).

Perché il problema non è la bilancia. Il problema non è lo specchio. Il problema sei tu. Il problema è l’ansiogena condizione umana che ti spinge a desiderare di essere ciò che non sei e di avere ciò che non hai.

Non saremo mai perfette. Accettiamolo.

Ci saranno giornate sì, in cui ci sentiremo supersciantose pazzesche e spaccheremo il mondo e conquisteremo il Principe Harry (ricordiamolo, il terzo in linea di successione al trono d’Inghilterra e l’unico con ancora tutti i capelli in testa). Poi, se mai dovesse succedere, sappiate che Shakespeare ha scritto un libretto d’istruzioni facile e maneggevole sull’ascesa al trono. Si chiama Macbeth. Lady Macbeth è simpatica. E io non vi ho detto niente.

E ci saranno giornate no, in cui le foglie scartate dell’insalata al supermercato vi daranno lezioni di autostima. Accettarle. Modalità sopravvivenza. Mantra “Domani è un altro giorno domani è un altro giorno” on. Passerà, giuro. Impariamo ad accettarci, perché se non ci amiamo noi per prime, come possiamo pretendere che lo facciano gli altri?